Quotidiano Sanità venerdì 5 Aprile 2019 – Perchè Grazia Labate non ha colto il senso della "Questione Medica"

Quotidiano Sanità, venerdì 5 aprile 2019

Perché Grazia Labate non ha colto il senso della “Questione medica”

Ringrazio la dottoressa Labate per avermi offerto l’occasione di scrivere questo articolo di chiarimento. Ringrazio anche il prof. Cavicchi non solo per tutto quello che sta facendo per la nostra medicina e la nostra  professione ma anche per le nostre interminabili discussioni (molte telefoniche) oltre che dinanzi ai gustosi piatti di spaghetti alle vongole in riva al mare che sa preparare. Ringrazio da ultimo (ma non ultimo) la Fnomceo per aver avuto il coraggio con gli “Stati Generali” di assumersi la responsabilità di un giudizio e di una strategia

 5 APR – E’ del tutto inconsueto che una “ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità” scriva un lungo articolo (QS 24 marzo 2019) sulla “questione medica” proponendoci una sorprendente dissertazione di filosofia della medicina. Ma ben venga dottoressa Labate c’è spazio per tutti.
 
Meno inconsueto che, una ricercatrice in economia, della quale apprezzo i suoi puntuali report sulla crisi del servizio sanitario inglese meno il suo fervore per i fondi integrativi, per negare le profonde implicazioni riformatrici della “questione medica”, riduca alla fine le questioni filosofiche, alla solita ricetta: “ristrutturazione profonda del nostro sistema sanitario”e  “ridefinizione del profilo professionale” del medico.
 
Benato, a cui rinnovo la mia stima, da ultimo (QS 27 marzo 2019) aderendo alle tesi della dottoressa Labate, si colloca sulla stessa linea: “promuovere il nostro ruolo” sostanzialmente per quello che è, salvo qualche aggiustatina, ma dentro un ripensamento del “contenitore” cioè della sanità.

 
E’ invece del tutto consueto che qualcuno (commento del Collega Panti a piè di pagina dell’articolo della dottoressa Labate) nell’esprimere anche lui la propria condivisione fa notare che la FNOMCeO per gli “Stati Generali” avrebbe dovuto coinvolgere gli “esperti” immagino i filosofi della medicina. Forse che la FNOMCeO non lo ha fatto?
 
Prima parte
Esperti, a parte, il Collega Panti nel suo ultimo articolo, (QS  31 marzo 2019), ci dice due cose fondamentali: che la questione medica esiste e non è una invenzione (con buona pace del Collega Di Stefano e di altri)  e questo ci conforta non poco  e che nella sua libreria ha dei libri di filosofia della medicina. Anche questo ci fa piacere. Anche io, ma del resto non potrebbe essere altrimenti, nella mia libreria ho qualche libello di filosofia della medicina che leggo, ma proprio perché li ho letti, ritengo che la sua lamentela sugli “esperti”, debba essere rivolta prima di tutto all’articolo della dottoressa Labate, che lui al contrario ha apprezzato molto, non alla FNOMCeO. Molti sono gli “esperti” infatti che in quell’articolo mancano all’appello.
 
Mancano in toto, e non si capisce perché, l’intera filosofia della medicina italiana, come se l’Italia non avesse un proprio pensiero filosofico e questo è del tutto fuorviante. Segnalo, a questo proposito, una antologia del 2008 “Filosofia della Medicina” (G.Federspil, P.Giaretta, S. Moriggi, Cortina 2008) in cui, tanto il Collega Panti che la dottoressa Labate, potranno trovare i principali filosofi della medicina italiana.
 
Inoltre nell’approccio, innegabilmente esterofilo della dottoressa Labate, mancano gli autori che hanno segnato delle vere e proprie svolte nel ragionamento filosofico in medicina e che sicuramente “sonnecchiano” nella libreria del Collega Panti. Tre nomi per tutti: Ganguilhem (“Il normale e il patologico”, Einaudi 1998), Foucault (“La nascita della clinica”, Einaudi 1998), Gadamer (“Dove si nasconde la salute”, Cortina 1993).
 
Inoltre l’articolo della dottoressa Labate  menziona  autori che studiano il ragionamento medico ma  trascurandone,  incomprensibilmente, altri  che al contrario sono considerati  dei veri punti di riferimento e che sicuramente anche essi albergheranno nella libreria del Collega Panti, come per esempio P. Sloterdijk (“Critica della ragion clinica”, Cortina 2013),  Thagard (“La spiegazione scientifica della malattia” Mc Graw-Hill, 2001) e per l’Italia Federspil (“Logica clinica”, Mc Graw-Hill), Austoni (“Riflessioni metodologiche”, Piccin 1998), Giaretta (“Il procedimento clinico, analisi logica di una diagnosi”, Piccin 1998), Scandellari (“La diagnosi clinica principi metodologici del procedimento decisionale”, Masson 2005) e fermiamoci qui. 
 
Insomma si dà il caso che tra di noi vi siano medici che non fanno sonnecchiare i libri ma anche Ordini, come quello che ho l’onore di presiedere che li sfogliano da anni, seguono il dibattito filosofico sulla medicina, impegnati a  promuovere e a  presentare libri coraggiosi che tentano di affrontare, sul versante filosofico quella che ormai si definisce con qualche mal di pancia, “crisi della medicina” o “crisi del paradigma positivistico della medicina”.
 
Forse anche per questo ci siamo appassionati alla “questione medica” e alla riforma del paradigma, riforma che, ricordo, prima di ogni altra cosa è di pensiero, quindi filosofica.
 
Ma forse l’omissione più significativa  che ho riscontrato nell’articolo della nostra stimata ricercatrice e negli argomenti dei suoi lettori, riguarda secondo me la più straordinaria, quanto inedita reinterpretazione, tutta e solo italiana, della classica filosofia della medicina, fatta dal prof. Cavicchi che a partire dagli anni 80, piano piano si è fatta faticosamente strada fino ad arrivare, da una parte a quel poderoso lavoro  sulla deontologia  fatto all’Ordine di Trento e dall’altra alla riproposizione delle “100 Tesi” che ora stiamo discutendo per fare gli “Stati Generali della Professione Medica”.
 
Molti pensano che quanto proposto nei due ultimi lavori citati vengano dal vuoto, o possano essere il frutto di poche settimane di lavoro, ma credetemi non è così. Le “100 Tesi” hanno una storia che i più non conoscono ma che è bene che si conosca altrimenti, soprattutto alcuni miei colleghi senza rendersi conto di cosa hanno tra le mani, rischiano di affogare in quello che alcuni indicano come “un fiume di parole”. Anche la “Divina Commedia” è un fiume di parole ma che fiume!
 
A volte penso che, nel nostro settore, la sudditanza psicologica di molti di noi verso ciò che è straniero, è così forte, che quello che è intellettualmente “nostrano”, anche se per caso, fosse incidentalmente geniale, è costantemente svalutato e ignorato. Una sudditanza che ci spiega molti dei nostri imbarazzanti ritardi e molti dei torti che infliggiamo ai nostri intellettuali.
 
Devo confessarvi, che dopo aver letto l’articolo della dottoressa Labate, sono rimasto piuttosto contrariato e, giudicandolo fuorviante rispetto alla nostra discussione sulla “questione medica”, ho telefonato al prof. Cavicchi, per invitarlo ad una riflessione su quanto da lei scritto  ottenendo da parte sua un rifiuto garbato  e motivato dal fatto che  non aveva nessuna voglia di fare polemica con “zia Grace” (così l’ha chiamata) cioè una vecchia amica, e anche perché “chi conosce certi argomenti sa distinguere le cose serie dalle improvvisazioni”(sic).
 
Restava tuttavia, a mio avviso rispetto alla nostra discussione, il problema di fare chiarezza per cui ho deciso, con i miei mezzi di intervenire provandomi a spiegare alcune cose che secondo me, per capire il valore vero delle “100 Tesi”, bisogna conoscere ma che sono evidentemente ignorate da molti.
 
L’unica cosa che ottenni dal prof. Cavicchi fu la sua consulenza bibliografica nel senso che mi sono fatto controllare il percorso bibliografico a monte sia del lavoro sulla deontologia di Trento che delle “100 Tesi”.
Premetto che il mio ordine sulla questione “crisi della medicina” negli anni, ha ospitato in particolare, il prof. Cavicchi ogni volta che usciva un suo libro.
 
Partiamo dall’inizio. E’ lui che di “crisi della medicina”, ha cominciato a parlarne fin dagli anni ‘80 e a farne il proprio oggetto di studio filosofico.
Tutto nasce, come egli ci ha spiegato nel corso dei nostri incontri bolognesi, da semplici, si fa per dire, intuizioni e dal coraggio di sviluppare con libertà il proprio pensiero.
 
Di quali intuizioni stiamo parlando? Incredibilmente, considerando gli anni in cui queste hanno preso forma, sono tutte quelle che oggi ci spiegano, ma 30 anni dopo, la “questione medica”.
 
Enumeriamole succintamente:
1. come è possibile riformare un sistema sanitario a paradigma di medicina invariante mentre cambia una intera società, una economia una cultura e cambia il soggetto della salute?
2. come è possibile riformare eventualmente il paradigma della medicina a concetto di tutela invariante nel mentre una intera società non vuole più essere tutelata come “paziente” cioè come un incapace ma punta ad autodeterminarsi come “esigente”?
3. come è possibile non ridiscutere di medicina e di medico mentre nella società e nella cultura cambia, malgrado i medici, la nozione di tutela?
4. con quale pensiero è possibile ridefinire la medicina?
 
A un certo punto, per dare seguito a queste intuizioni, il nostro “filosofo” si rende conto che il dibattito filosofico, è debole, impotente, con le armi spuntate. Sono anche gli anni in cui molti abbandonano la riflessione filosofica per preferire quella bioetica (a mio avviso uno dei più grandi errori strategici fatti dalla nostra medicina).
 
Quando Paolo Rossi a metà degli anni ‘90 pubblica il volume “Le filosofie speciali” (della scienza, della religione, del diritto, della politica, del linguaggio, della storia ecc.) (Garzanti, 1996), non riconosce alla filosofia della medicina lo status di filosofia speciale considerandola poco più poco meno che una applicazione alla medicina della filosofia della scienza.
 
Quindi il nostro “filosofo” (Cavicchi) si vede costretto a prendere le distanze dalla tradizionale filosofia della medicina, e senza esitare prende una strada nuova e inesplorata quella che più tardi definirà una “filosofia per la medicina”. Questa volta una vera e propria “filosofia speciale” senza la quale non ci sarebbero oggi le “100 Tesi”. Cioè decide di mettere in pista un nuovo pensiero.
A mio modesto avviso il contributo, quindi, che il prof. Cavicchi (della  cui amicizia mi onoro)  ha dato alla filosofia della medicina nel nostro paese è di grandissimo valore ed impatto ma allo stesso tempo spiazzante soprattutto nei confronti della tradizione e del senso comune corrente.
 
Per rendersene conto sarebbe sufficiente sfogliare la sua vasta  bibliografia che non intendo ripercorrere nella sua interezza limitandomi a ricordare solo alcuni suoi passaggi fondamentali: nel ‘98 pubblica “L’uomo inguaribile”, il sottotitolo è “Il significato della medicina” (Editori Riuniti, 1998).
 
E’ il libro da cui parte il viaggio nella medicina per cambiare la medicina. Qui dopo una analisi serrata dei problemi annuncia tra lo scetticismo generale l’esistenza di una “crisi” e sin da subito pone la questione di ripensare il paradigma medico. L’anno successivo, nel ‘99, esce “Il rimedio e la cura”, il cui sottotitolo è davvero profetico, “Cultura terapeutica tra scienza e libertà” (Editori Riuniti, 1999). In esso viene posta la questione fondamentale vale a dire quella dell’autonomia del medico che oggi sappiamo essere alla base della “questione medica”.
 
L’anno successivo, nel 2000, esce la “Medicina della scelta” (Bollati Boringhieri 2000) scritto all’indomani della riforma ter del Servizio Sanitario (1999) dove con la scusa della appropriatezza (ricordo il famoso articolo sull’obbligo sanzionato di appropriatezza) prende forma la  “medicina amministrata”, e da cui prende avvio tutto un lavoro di ridefinizione della medicina e la serie di studi filosofici, pubblicati con Bollati Boringhieri,  e che vedono titoli importanti come “Filosofia della pratica medica” (2002), “La clinica e la relazione” (2004) e “Ripensare la medicina” (2004). Mi limito a dire che si tratta di lavori ponderosi vere e proprie pietre miliari, con un forte potenziale innovativo, densi di idee, dove la filosofia spazia in ogni dove, senza limiti, alla ricerca di un nuovo pensiero che possa essere utile al rinnovamento della medicina.
 
Con questi lavori ormai il nuovo oggetto di studio della filosofia è la crisi della medicina e la filosofia per la prima volta dopo un secolo di silenzio (la filosofia di fatto come “conoscenza” è stata bandita nel momento in cui la medicina diventa alla fine dell’800 scientifica) è sollecitata a fornire un pensiero nuovo per risolverla. Non c’è che dire un bel salto. Senza questo salto oggi non ci sarebbe la “questione medica” ne gli “stati generali” e meno che mai le “100 Tesi”. Cosa avrebbe potuto esserci? Presumibilmente le solite cose che, ad opera di alcuni colleghi abbiamo letto anche di recente su questo giornale del tutto in linea con la vecchia FNOMCeO: il medico e il suo paradigma sono invarianti, cioè indiscutibili, per cui non c’è crisi della professione ma solo un pò di mal di mare dovuto ad una navigazione difficile, per cui appena calmate le acque, cioè aggiustando soprattutto la sanità, il profilo, il ruolo, tutto finirà.
 
Grazie all’attuale FNOMCeO finalmente ci siamo liberati di questa terribile antistorica illusione. La crisi c’è, ora anche Panti lo dice e si vede (vedere che mi trovo d’accordo con Antonio è una bella sorpresa, credo per entrambi!). Essa richiede un pensiero adeguato e questo è a mio avviso reperibile nelle “100 Tesi”.
 
Seconda parte
Quando uscì il libro “Una filosofia per la medicina” (Dedalo Edizioni, 2011) invitammo il prof Cavicchi, a presentarlo da noi all’Ordine di Bologna. Per altro vi era appena stato un importante convegno di presentazione organizzato dalla “Città della Salute” all’ospedale oncologico di Sesto Fiorentino, con un parterre di relatori di primaria levatura, tra i quali anche i miei stimati colleghi Benato e Panti. 
 
Nella presentazione di Bologna, che, a distanza di anni ricordo ancora nitidamente per l’entusiasmo che suscitò in tutti noi, ci fu spiegato una cosa che, almeno io, non ho mai dimenticato e che chiariva  le difficoltà della filosofia  della medicina del tempo: per il paradigma positivista l’unica cosa che conta è la “scienza” mentre la filosofia, intesa come “conoscenza”, è come bandita, con un’unica eccezione: essa è ammessa solo nel caso in cui la filosofia accetta di fare da ancella alla scienza cioè si limita a descriverne la razionalità scientifica.
 
La filosofia della medicina, ci fu spiegato, nasce come una sorta di costola della filosofia della scienza di matrice positivista, con il compito di descrivere la scienza medica ma non già per aiutare la medicina a ripensare se stessa.
 
Tutti gli autori citati dalla dottoressa Labate, appartengono a questa tradizione e come dicevo più su, l’oggetto principale delle loro riflessioni, è solo il ragionamento del medico, i problemi del giudizio del medico, la logica razionale.
 
Oggi costoro e questo modo di guardare alla medicina, sono di fatto spiazzati, perché la crisi della professione, la crisi del ruolo, la crisi dell’identità, insomma la “questione medica”, va ben al di la del problema di come razionalmente ragiona un medico. Cioè questi autori paiono inservibili come pare poco utile la filosofia descrittiva che propongono, quindi è inutile citarli.
 
Oggi difronte alla nostra crisi di identità, il problema di come il medico deve ragionare, non si risolve se prima non si decide a quale medicina, a quale malato, a quale scienza, a quale società, ci si riferisce.
 
Il quesito posto da alcuni autorevolissimi  Colleghi “ è in crisi il medico o la medicina?” lo reputo  fuorviante perché suppone una separazione che non può essere data. Il quesito corretto a mio avviso è un altro: siccome il medico e la medicina sono inseparabili “si può dare crisi del medico senza dare crisi della medicina”?
 
Questa è la ragione per la quale, ritengo che la professione non può cavarsela, come propone tanto il mio amico Benato che la dottoressa Labate, ed altri, scaricando la crisi professionale, sulla sanità o peggio riducendo e semplificando i nostri problemi ad una migliore promozione del ruolo o a una migliore ridefinizione del profilo. Su questo concordo in pieno con Brenda Menegazzo e Gaia Zagolin, i medici del terzo millennio (QS 30 marzo 2019).
 
Oggi gli stati generali dovranno cimentarsi con il problema dell’identità. Non vedo alternativa.
Se l’identità professionale è il prodotto di un paradigma, come penso, se i medici sono tali per come sono stati formati, e se la formazione non è altro che l’espressione di un paradigma, allora come è possibile affrontare efficacemente la nostra crisi di identità a paradigma invariante?
 
Oggi per definire un medico nuovo, se siamo d’accordo con quello che dicono i giovani del terzo millennio, si deve definire una nuova medicina e per farlo ci vuole un pensiero di ricambio. “La filosofia per la medicina” come riflessione filosofica nasce da questa esigenza. Ma di questo mi pare che non ci sia sufficiente consapevolezza.
 
Hanno quindi ragione le nostre giovani Colleghe venete a dirci che gli strumenti del ‘900 non bastano a far fronte ad una società “evoluta e esigente”, ad “un concetto rivoluzionario di scienza” e, aggiungo io, con il loro permesso, ad un crescente grado di complessità della professione. Fare il medico nel terzo millennio, rispetto al medico del ‘900, e i miei colleghi lo sanno, è molto ma molto più complesso. Hanno quindi ragione loro quando dicono che non adeguare il medico a questa complessità vale come una “condanna” e una “sconfitta”.
 
Chiudo dicendo che secondo me, tanto le “100 Tesi” che la riforma della deontologia di Trento (Dedalo Edizioni, 2018), rappresentano i due risultati intellettuali pratici più importanti, frutto di moltissimi  anni di studio, nati da un coraggioso e affascinante percorso intellettuale. Prima o poi saranno ovviamente i posteri a giudicare il valore di queste cose. A noi che ne siamo immersi, sembrano le solite cose ma non sono le solite cose.
 
Grazie alla FNOMCeO questo pensiero, giusto o sbagliato che sia, condivisibile o meno, ora è alla portata di tutti.
 
Sta a noi farne buon uso, cioè approfittarne, ma a condizione di non truccare le carte. Io in chiusura  non voglio citare Murri  come amano fare  alcuni mei Colleghi approfittando, forse, della rubrica Google “Frasi di Augusto Murri (11 frasi) | Citazioni e frasi celebri”, perché Murri secondo me è esattamente il medico del ‘900 da ripensare. Ai tempi di  Murri la “questione medica” non c’era e il suo paradigma era in tutto e per tutto positivista. Il paziente era un paziente e null’altro e l’idea di scienza era quella piuttosto dogmatica del circolo di Vienna che il nostro tempo ha confutato. Oggi Murri che resta, sia chiaro, il più autorevole maestro di clinica del ‘900 non solo sarebbe contestato dai malati tutti i giorni ma si troverebbe a doversi difendere in tribunale.
 
La realtà è un’altra. Citiamo pure Murri ma il mondo è cambiato e Murri finisce fuori contesto. Facciamocene una ragione.
 
Ringrazio la dottoressa Labate per avermi offerto l’occasione di scrivere questo articolo di chiarimento. Ringrazio anche il prof. Cavicchi non solo per tutto quello che sta facendo per la nostra medicina e la nostra  professione ma anche per le nostre interminabili discussioni (molte telefoniche) oltre che dinanzi ai gustoso piatti di spaghetti alle vongole in riva al mare che sa preparare. Ringrazio da ultimo (ma non ultimo) la FNOMCeO per aver avuto il coraggio con gli “Stati Generali” di assumersi la responsabilità di un giudizio e di una strategia.
 
Post scriptum
Quando ho letto l’ultimo articolo di Benato (4 aprile 2019)  avevo già finito di scrivere questo articolo. Vorrei aggiungere dunque che ho molto apprezzato le sue argomentazioni, ma soprattutto se per “contenitore” (cultura, formazione, organizzazione e politica) come lui spiega intendiamo “paradigma”, allora mi compiaccio di essere d’accordo pienamente con lui. Resto dubbioso sulla possibilità di risolvere i nostri problemi semplicemente “assicurando un buon bagaglio culturale al medico”. Al contrario del mio amico Benato, penso invece che sia necessaria una “ridefinizione dei domini della medicina soprattutto sul terreno delle conoscenze e del modo di usarle”.  E’ ovvio che la questione medica  non si risolve solo con la “libertà nel metodo” ma nello stesso tempo è altrettanto innegabile  che il metodo dogmatico ormai davanti alla complessità non funziona più. Eppoi Maurizio, giusto l’altro ieri sedevamo insieme in Commissione a Roma e ci siamo detti che era opportuno continuare i nostri dibattiti su Quotidiano Sanità! Come vedi manteniamo le promesse!
 
Giancarlo Pizza
Presidente OMCeO di Bologna

05 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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