RIFORMA DEGLI ORDINI – PROF.IVAN CAVICCHI

 

Ivan Cavicchi

Docente all’Università Tor Vergata di Roma, esperto di politiche sanitarie

 

 

 

Pochi giorni fa sono stato in audizione in qualità di esperto alla Commissione Affari Sociali della Camera. Il tema da esaminare era il ddl Lorenzin sulla riforma degli Ordini. Visto che l’audizione era in streaming, in tempo reale sul web si è scatenata la polemica soprattutto da parte di alcuni capetti della nomenclatura dei collegi infermieristici. Vorrei ricapitolare le critiche che ho sostenuto alla proposta di legge:

– è ampiamente sotto-determinata cioè non si occupa dei problemi reali delle professioni e dei cittadini. Essa è stata pensata per rinsaldare e estendere un potere corporativo di vecchio stampo;
– si attiene ad un modello normativo di ordine e di collegio che ha esattamente 71 anni (ricostruzione degli ordini 1946) e che rispetto ai problemi delle professione e dei cittadini è regressivo e inadeguato;
– ignora l’immenso divario che esiste tra i problemi delle professione gli ordini e i collegi;
– non rimuove la contrapposizione tra professioni e i cittadini (contenzioso legale medicina difensiva eccesso di proceduralismo, ecc). Ricordo che la ratio su cui si basa da sempre la legislazione sugli ordini è quello della doppia tutela: i diritti dei cittadini sono garantiti dai doveri professionali. Oggi le professioni, spesso per ragioni finanziarie, per riduzioni degli organici, per limiti budgetari e altro, non sono in condizione di fare il loro dovere con la conseguenza che il malato può non essere più deontologicamente garantito.

Per dimostrare le mie tesi alla Commissione, ho illustrato i problemi noti alla letteratura e all’esperienza tanto degli ordini che dei collegi:

– essi mancano di credibilità cioè sono considerati dalle professioni come delle “camere di commercio” nelle quali prevalgono gli opportunismi personali del quadro dirigente. Le professioni in genere per sfiducia non vanno a votare per l’elezione dei loro organismi, spesso infatti capita che manchino i quorum minimi;
– sono istituzioni il cui operato non è mai stato oggetto di verifica perché sono garantiti da forme obbligatorie di finanziamento a carico delle professioni;
– sono istituzioni con profonde divisioni interne dove esistono addirittura più codici deontologici. L’intera deontologia da loro prodotta è ampiamente inadeguata.

Che risposte dà il disegno di legge? Due le soluzioni indicate:

– ridenominazione dei collegi in ordini. Si tratta di un’operazione di facciata perché dal punto di vista giuridico statutario e organizzativo ordini e collegi già sono identici e non cambia niente. Dal cambio della denominazione agli infermieri non deriverà nessun concreto vantaggio e nessun problema importante sarà risolto. Ma si darà loro l’illusione di essere uguali ai medici;
– ridefinizione giuridica degli ordini: non più enti ausiliari ma enti sussidiari dello Stato. La differenza tra funzione ausiliaria e funzione sussidiaria non è marginale: in un caso gli ordini non svolgono una funziona amministrativa attiva ma solo una funzione di iniziativa e di controllo, nell’altro invece in base al principio di sussidiarietà gli ordini possono svolgere compiti amministrativi in luogo e per conto dello Stato.

La proposta di legge, dunque, anziché preoccuparsi di risolvere i problemi dei cittadini e delle professioni, definendo una deontologia all’altezza dei tempi, punta a cambiare semplicemente la propria mission ma solo per allargare il proprio potere istituzionale. Se gli ordini e i collegi diventassero ente sussidiari dello Stato si dovrebbero trasferire molte funzioni oggi in capo al Ministero della Salute e alle Università. Quindi la proposta è di fatto una sorta di ministerializzazione dell’ordinistica in aperta competizione con altre istituzioni pubbliche, università compresa.

Queste proposte andrebbero semplicemente respinte perché non risolvono nessuno dei problemi gravi delle professioni. Alla commissione ho spiegato cosa farei io:

– riformerei l’idea di “corporazione” nata quasi un secolo fa per ricontestualizzarla nella società attuale;
– non cambierei né i compiti né la mission perché le professioni oggi sono indebolite ed hanno bisogno di essere difese ma riformerei radicalmente la deontologia come ha fatto il collegio Ipasvi di Pisa (vi suggerisco di leggervi la sua straordinaria proposta di codice deontologico);
– sottoporrei il sistema ordinistico ad un più serrato controllo sociale da parte dei cittadini e delle professioni modificando il sistema di finanziamento;
– istituirei un professional board a livello nazionale diretto dal ministro della Salute come il luogo nel quale tutte le professioni possano confrontarsi e suggerire al governo politiche adeguate;
– vincolerei l’intera ordinistica a tre condizionali: incompatibilità, trasparenza autonomia.

Sapete chi ha scritto materialmente il testo del disegno di legge? Due senatori del Pd, uno ex presidente della Fnomceo (onorevole Bianco), l’altro ex presidente dell’Ipasvi (onorevole Silvestro) che per decenni hanno governato l’ordinistica delle due più grandi professioni (medici e infermieri) riducendola a come è oggi ridotta e che nonostante le regole sull’incompatibilità ancora oggi continuano a tirare i fili del sistema.

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Quotidiano Sanità 12 gennaio 2017

Riforma degli Ordini. Quella in discussione è una proposta molto al di sotto dei problemi reali

Ieri pomeriggio sono stato in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera. Il tema era il ddl Lorenzin sulla riforma degli Ordini. Ecco cosa ho detto

 

12 GENPremessa
Per un analista il primo problema da risolvere quando si trova a valutare un qualsiasi disegno di legge è la congruità tra i presupposti in genere dichiarati nella relazione di accompagnamento  oltreché  nell’articolato di legge, dai quali sono dedotte le soluzioni espresse nel disegno di legge.
 
I principali presupposti che ispirano il disegno di legge sono:
· maggiore funzionalità del ssn
· accrescere l’adeguatezza del  ssn alle necessità degli utenti
· colmare lacune
· affrontare criticità ecc
 
Ebbene fatto salvo i presupposti, dall’analisi del testo risulta che la proposta di riordino degli ordini è ampiamente sotto-determinata cioè molto al disotto dei problemi reali delle professioni e dei cittadini che si dovrebbero affrontare. 
Una proposta pensata indipendentemente dai problemi delle professioni
Siamo di fronte ad una proposta di legge pensata non per risolvere i problemi delle professioni e dei cittadini ma per rinsaldare e estendere un potere corporativo di vecchio stampo.

 
Il modello e persino l’articolato (struttura degli articoli) seguito dal disegno di legge è quello:
· inizialmente inaugurato con la legge 445 del 1910 (legge Giolitti) che trasforma gli ordini intesi come associazioni private in istituzioni pubbliche,
· quindi arricchito e messo a regime  con la legge sulla  ricostruzione degli ordini del 1946
 
La cosa imbarazzante è che in questo modo la proposta di legge reitera un modello di ordine e di collegio che sia nel caso dei medici che in quello degli infermieri  ha esattamente 71 anni .Rammento che la legge del 46 di ricostruzione degli ordini vale anche per i collegi. E’ inutile dire che il modello in questione è rispetto ai problemi delle professione e dei cittadini quanto di più regressivo e inadeguato si possa immaginare.
 
Il principio della doppia tutela
Prima di accennare ai problemi dai quali ricavare una riforma dell’ordinistica vorrei ricordare che il razionale su cui si basa da sempre la legislazione sugli ordini si basa su un criterio di doppia tutela:
· cioè si garantiscono i diritti dei cittadini
· garantendo i doveri professionali
 
Cioè il dovere professionale fino ad ora è stato sempre la prima garanzia per i malati. Ebbene questo razionale oggi non è più rispettato oggi le professioni spesso per ragioni finanziarie e altro non sono in condizione di fare il loro dovere ne deriva che in questi casi il malato non è più deontologicamente garantito. Basterebbe solo questo a suggerire un ben altro provvedimento legislativo.
 
Ma quali i problemi tanto degli ordini che dei collegi?
 
I principali sono i seguenti:
· ordini e collegi rispetto alla stragrande maggioranza dei professionisti  sono senza credibilità vissuti semplicemente come delle “camere di commercio”
· professioni che  per sfiducia non vanno a votare per l’elezione degli organismi spesso mancano i quorum minimi
· ordini e collegi  che non sanno far fronte ai grandi problemi delle professioni come quelli  dalla perdita di ruolo e di identità e di autonomia
· ordini e collegi del tutto autoriferiti agli interessi dei loro gruppi dirigenti
· spaccature tra ordini e ordini collegi e collegi  e applicazioni di diversi codici deontologici
· deontologia ampiamente regressiva
 
Nei confronti di questi problemi il disegno di legge è totalmente sotto determinato.
 
Ridenominazione dei collegi in ordini
Si tratta di una operazione del tutto nominalistica perché dal punto di vista giuridico statutario e organizzativo già sono identici e non cambia niente e francamente non mi interessa confutarla. Dal cambio della denominazione ai professionisti non deriverà nessun concreto vantaggio e nessun problema importante sarà risolto. Quindi è una operazione priva di esiti pratici ma che sarà certamente oggetto di una propaganda ingannevole che nell’ottica di chi teorizza il “riscatto” degli infermieri rispetto ai medici verrà spacciata come una “sostanziale” equiparazione professionale tra medici e infermieri.
 
La ridefinizione giuridica degli ordini
Nella relazione che accompagna il disegno di legge si dice che la proposta di legge non propone nuovi enti pubblici in realtà questo non è vero perché il disegno di legge propone una modifica della natura giuridica degli ordini e dei collegi quindi in un certo senso una nuova idea di ente.
 
La proposta di legge infatti propone di definire gli ordini non più quali enti ausiliari  ma  quali enti sussidiari dello Stato.
 
La differenza trafunzione ausiliaria e funzione sussidiaria non è marginale:
· in un caso gli ordini non svolgono una funziona amministrativa attiva  ma solo una funzione di iniziativa e di controllo
· nell’altro invece in base al principio di sussidiarietà gli ordini possono svolgere compiti amministrativi  in luogo e per conto dello Stato
Quindi passare da ente ausiliario ad ente sussidiario significa un cambiamento di compiti e di mission. Accanto alle funzioni tradizionali (governo deontologico, governo dell’albo, tutela della professione ecc) come ente sussidiario la proposta di legge di fatto trasferirebbe molte funzioni oggi in capo al ministero della salute e in capo alle università  all’ordinistica (formazione, ecm. certificazioni, supervisione, crediti, consulenza, partecipazioni varie  ecc).
Personalmente avrei delle perplessità a trasferire altre funzioni dal ministero della salute agli ordini come avrei delle perplessità a ministerializzare gli ordini anziché ripensarli e modernizzarli in quanto tali.
 
Ma l’obiezione politica di fondo che avanzo è che ridefinire la natura giuridica degli ordini non risolve nessuno dei problemi gravi delle professioni ma soddisfa esclusivamente gli obiettivi di potere di certi gruppi dirigenti.
 
Se ci rammentiamo la distinzione che introduce il diritto amministrativo tra “corporazioni” e “istituzioni” cioè tra:
· persone giuridiche in cui prevale l’elemento personale (ordini)
· persone giuridiche in cui prevale l’elemento patrimoniale (ente previdenziale)
 
Si ha chiaro il grosso limite politico del disegno di legge: esso invece di preoccuparsi di riformare l’idea di “corporazione” per ricontestualizzarla in un mondo molto diverso da quello rispetto al quale essa un secolo fa è nata punta come istituzione pubblica semplicemente ad accrescere il proprio potere nel tentativo di estendere per via amministrativa i suoi ambiti di intervento oltre le vere necessità delle professioni.
 
Tutto questo sfiora il ridicolo quando nella relazione di accompagnamento si legge che agli ordini quali enti sussidiari non si applicano le norme per il contenimento della spesa pubblica. Mi permetto di far notare che questa esenzione dai tagli lineari vorrei che fosse rivendicata da un ordine o da un collegio prima di tutto per i servizi sanitari.
 
Tre questioni finali:
· incompatibilità: in ragione del principio di incompatibilità i senatori si sono dimessi da presidenti ma continuano a fare sia i senatori che i presidenti, basta con i burattinai, l’orrore del 566 è figlio del consociativismo
· trasparenza: girano troppi soldi e il loro impiego e la loro destinazione spesso è opaca e orientata a mantenere clientele interne
· autonomia: gli ordini e i collegi sono emanazione dei sindacati ,basta con il pansindacalismo  il principale scopo dell’ordinistica è quello di governare le professione con la deontologia .Nessuna etica deontologica è credibile se inficiata da forme di consociativismo con la politica ,se gli ordini sono usati per scopi di consenso politico,se gli ordini sono condizionati  da interessi clientelari.
 
Una proposta
Propongo di abolire il “contributo obbligatorio” e sostituirlo con un “contributo volontario”. E’ mia convinzione che fino a quando ordini e collegi avranno finanziamenti garantiti non solo non avranno alcun interesse a fare il loro di dovere istituzionale ma saranno continuamente oggetto di comportamenti opportunisti da parte dei loro  gruppi dirigenti.
 
Ivan Cavicchi
 

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